Mi piace ascoltare i racconti delle persone perché attraverso di loro ho l’occasione di imparare e scoprire mondi sempre nuovi.

Mi chiamo Anna Valeria Lisi, ho 40 anni e da circa 12 lavoro come psicologa clinica e psicoterapeuta in contesti sia privati che pubblici. La mia formazione è psicodinamica e ho una predilezione per il lavoro con i gruppi, dove la condivisione consente di moltiplicare le sfumature e le soluzioni. Mi sono occupata di ricerca e team building aziendale e di gruppi di formazione, svolgendo parallelamente l’attività privata con i pazienti a studio.

Ho la fortuna di lavorare in team con colleghi che ho scelto e che stimo. Insieme ad alcuni di loro abbiamo pensato, ormai 7 anni fa, che fosse interessante interrogarci sulle relazioni violente, organizzate entro la logica del potere, perché ci sembrava potessero essere usate come passe-partout per leggere molti fenomeni sociali contemporanei. Quel che abbiamo capito è che la violenza viene sempre usata come impropria soluzione all’incapacità di riconoscere che la diversità dell’altro non è una minaccia. Così abbiamo fondato uno spazio dove poter discutere di questo, che poi è diventato anche un posto dove accogliere persone in difficoltà rispetto al tema della violenza agita dentro le relazioni affettive. In particolare, abbiamo pensato di dedicare il nostro lavoro agli uomini che agiscono violenza contro le donne perché si tratta di una domanda sociale iscritta culturalmente entro il processo di emancipazione femminile a cui siamo interessati e che richiede ancora molto impegno ed energie. È nato così il Cam Roma (centro ascolto maltrattaNti) oggi diventato Centro PRIMA (prevenzione intervento maltrattamenti), dove il concetto di prevenzione ha assunto un ruolo ancor più centrale. Come Responsabile della comunicazione del Centro Prima il messaggio forte che vorrei diffondere è l’idea che chi sente una frustrazione che non riesce a contenere può rivolgersi ad un centro specializzato per capire perché e come poter fare. Va sostenuto l’immaginario per cui deve diventare normale, non straordinario, pensare di poter intervenire se si percepisce una difficoltà.

Il lavoro psicologico prevede improvvisi momenti di vertigine, dove nel costruire significati, trame e un inedito senso delle cose si oscilla tra la sensazione di essere in un porto sicuro e poi d’improvviso in mare aperto.

Saper stare nell’incertezza è oggi demodé, probabilmente perché ancora non siamo riusciti a raccontare che imparare a starci insieme a qualcuno consente di stringere legami, di valorizzare le imperfezioni, di usare i limiti come sponde su cui darsi la spinta per ripartire.

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